mercoledì 26 aprile 2017

La disinformazione volontaria può mettere a rischio la democrazia?


La linea che separa la democrazia dalla sua degenerazione in demagogia è più sottile di quanto si creda.
La democrazia, che oggigiorno è comune a gran parte del mondo, si basa su determinati principi di uguaglianza giuridica e attribuzione di diritti e doveri sanciti da una costituzione e non dalla volontà di una singola persona. Questo è il frutto di una battaglia per la libertà durata secoli, che ha coinvolto intere generazioni che con tenacia hanno lottato per il diritto di scegliere e per dar voce alle esigenze di tutti.
Al giorno d’oggi la libertà, considerata in tutte le sue forme come libertà di stampa, opinione, parola e religione, è una meta ormai raggiunta e assimilata nella quotidianità di ognuno, ed è proprio questa “abitudine alla libertà” a renderla per molti una prerogativa scontata.
Ogni volta che si vuole far valere la propria opinione, si prende posizione restando coerenti al proprio pensiero, senza temere ripercussioni; si scrive e si pubblica tutto ciò che si è in grado di pensare, anche se si discosta dal pensiero di molti. Chiunque voglia fare della satira gratuita ha il diritto di farlo, come una qualsiasi persona ha il diritto di entrare indifferentemente in una chiesa, sinagoga o moschea perché ha la facoltà di scegliere di credere nella fede che ritiene più giusta. Siamo tutti talmente assuefatti all’idea di libertà da dimenticarci che, come ogni grande conquista, anche questa va difesa da tutto ciò che potrebbe metterla in discussione. L’unica arma a nostra disposizione per salvaguardare un bene tanto prezioso, è l’informazione.
È tanto un diritto quanto un dovere essere al corrente degli avvenimenti che ci circondano, dalla politica interna a quella estera, al fine di sviluppare un proprio senso critico. Il fatto di essere quotidianamente “bombardati” da miliardi di notizie, da radio, televisione, giornali e internet, rende indispensabile lo sviluppo in ognuno di noi della facoltà di distinguere ciò che di veritiero possa contribuire a formare la nostra coscienza personale, da ciò che è stato sapientemente manipolato da chi ne trae vantaggio, al fine di garantirsi il favore di tutti.
Per quanto i mass media abbiano la tendenza ad omettere informazioni cruciali, dando rilievo ad altre meno importanti, buona parte della colpa della crescente disinformazione è riconducibile a noi. Si parla, infatti, di “disinformazione volontaria” quando non prendiamo atto di ciò che ci circonda e preferiamo “lavarci le mani” dalle nostre responsabilità in quanto cittadini di uno Stato democratico che, per definizione, affonda le radici sulla volontà del popolo. Non compriamo più giornali perché leggiamo di sfuggita i titoli dei quotidiani al bar, non ci impegniamo a formarci un’idea personale dal momento che c’è chi pensa per noi ed è in grado di “venderci” le proprie idee, tutto questo perché il ritmo di una vita frenetica rende il personale impegno politico di ognuno una necessità secondaria. E mentre da un lato calano drasticamente le vendite di giornali, dall’altro cresce lo share di programmi di dibattito televisivo, in cui due o più rappresentanti di partiti politici emergenti fanno a gara per convincere il maggior numero di persone a sostenerle, il tutto nel clima di liti accese e disorganizzazione generale. Affidarsi ciecamente alle parole pronunciate da un politico pagato per ripetere frasi efficaci in televisione o su articoli o video pubblicati sui social network (in cui chiunque diventa, nel giro di un secondo, un grande esperto di strategie politiche) non può essere in alcun modo considerato una forma di informazione, perché se manca la consapevolezza dei fatti storici, politici e culturali che continuano a susseguirsi e a influenzare la realtà del paese, non si può criticamente distinguere ciò che è il frutto di un ragionamento consapevole e sensato da ciò che è pura propaganda politica.
La conseguenza più negativa della crescente disinformazione è che siamo consapevoli di non avere le conoscenze tali da fare delle scelte ragionate, ma andiamo comunque a votare e contribuiamo a scrivere il futuro del nostro Paese in un’ignoranza di fondo.  Sottovalutiamo l’importanza di una croce su una scheda elettorale come quella di un articolo di giornale di uno studioso o di un esperto di politica e diamo per scontato che proprio la politica sia un nostro diritto.

Se durante i regimi dittatoriali del Novecento come lo Stalinismo, il Nazismo o il Fascismo, il monopolio dell’informazione da parte del governo rendeva impossibile sviluppare un pensiero diverso da quello dello schieramento politico in carica, oggi abbiamo il dovere di difendere la democrazia così tanto desiderata con ogni mezzo a nostra disposizione, cominciando proprio dalla lettura dei quotidiani, per arrivare poi alla scelta consapevole di ognuno di noi.
Virginia Pelissero 


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